Melodramma e Filosofia perenne

Presentazione della collana monografica “Melodramma e Filosofia perenne” di Eduardo Ciampi con l’editore Irfan

Il melodramma è stato il prodotto del fenomeno del Rinascimento italiano, storico spartiacque tra mondo tradizionale e mondo moderno. Ciò grazie ai suoi primi afflati umanisti e razionalisti, il cui fine sarebbe stato l’allontanamento dalla dimensione del Sacro.

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Questo nuovo genere evolverà nel corso del tempo anche a favore di accenti sentimentali, adeguandosi alla mentalità superficiale e orizzontale del mondo moderno. Nella collana sono state scelte alcune opere tendenti a evidenziare quegli afflati verticali ancora individuabili.

Partendo da questo presupposto, Eduardo Ciampi (docente di lingua e letteratura inglese e studioso di musicologia), di comune accordo con l’editore Irfan, ha deciso la costituzione di un’ambiziosa collana monografica. Si intitola Melodramma e Filosofia Perenne, col fine di sviluppare una ricerca, che, secondo il dettame dell’Alighieri, definiremmo anagogica1.

La collana Melodramma e Filosofia perenne, attraverso lo studio delle fonti letterarie dei libretti, si propone di approfondire la conoscenza dell’opera lirica. Questo nell’ottica di una prospettiva filosofica cosiddetta Perenne, dimorante al centro di tutte le religioni. Bela Hamvas, valido esegeta ungherese della Tradizione, afferma questo:

«la tragedia e la grande musica sono creazioni che si trovano sul limite immediato dell’iniziazione. […] L’anima umana vi è guidata attraverso una serie di esperienze simboliche2».

Gli storici della musica e la critica letteraria offrirono un’esegesi decadente legata alla nascita del melodramma. I musicologi scrissero di «contaminazione» in contrapposizione alla privilegiata e «pura» musica strumentale3 (cameristica o sinfonica). Questa trasmetterebbe emozioni senza l’uso della parola, che forma concetti o rappresentazioni4.

Il critico musicale greco, Thrasibulos Georgiades, sottolineò l’inarrestabile confronto, dialogo e quindi conflitto tra la musica e la parola, figli entrambi dello spirito, che ha costituito la spina dorsale della storia della musica occidentale e – sovrappiù – del Melodramma5.

L’immiserimento della parola portò naturalmente al canto, essendo musica e linguaggio due creature dello spirito umano, che s’incontrerebbero nel ritmo6.

Alla fine del XVI secolo, per il critico letterario Francesco De Sanctis, la parola aveva perso ogni consistenza e quindi significazione. Diviene cioè un suono vuoto, quindi fine a se stessa; e la musica sarebbe così giunta in suo aiuto. Il passaggio al Melodramma generò una vera e propria degenerazione linguistica. Così come fu denunciato dal mondo della critica letteraria dell’epoca. Scrisse il De Sanctis: 

«quando il dramma divenne insulso e la parola perdette ogni efficacia, si cercò l’interesse della musica, e tutto il dramma fu cantato.» 

Il musicologo Gino Roncaglia sentenziò che la nascita del melodramma fosse connessa al desiderio di sostituire la polifonia con la monodia. Il fine? Recuperare maggior intelligibilità nella parola, così come affermato, nella seconda metà del XVI secolo, Vincenzo Galilei. Successivamente così sarà puntualizzato da Giulio Caccini:

«procurisi di scolpir le sillabe, per far bene intendere le parole, e questo sia sempre il principal fine del cantante in ogni occasione di canto. Massimamente nel recitare e persuadasi pur ch’il vero diletto cresce dalla intelligenza delle parole».

Così riportato ai membri della Camera fiorentina, culla del teatro d’opera, insieme al proto-librettista Ottavio Rinuccini e altri nobili e letterati7.

Il melodramma nacque anche al fine di rievocare l’antica tragedia greca, in cui la parte musicale occupava un posto preminente8 (si veda l’importanza del Coro).

Il rischio fu forse quello di musicare tutta l’opera, quando sarebbe bastato limitarsi a delle musiche di scena (forme miste di canto e recitazione diverranno la ‘Opera Comique’ e il ‘Singspiel’, mentre l’opera italiana sarà per lo più tutta cantata). 

“Melodramma e Filosofia perenne”. La maggior parte degli storici della letteratura italiana, a ragione, sostengono che la musica abbia la supremazia sul libretto.

I versi non eccezionali del Don Giovanni sono resi vivi e palpitanti dall’invenzione ispirativa di Mozart. Allo stesso modo ne Il barbiere di Siviglia, i versi dell’Aria di Don Basilio, La calunnia…, dimostrano la loro inadeguatezza di fronte a invenzioni melodiche assai ardite e sensuali9.

È chiaro che dovremmo spostare la nostra indagine nel cogliere come la parola unita alla musica colga una nuova e originale significazione, grazie a un avvolgimento musicale, che sia capace di sfrondare il significato non espresso dalle nude parole.

La mitologia, rivissuta attraverso le nuove esperienze umanistiche, fornì il primo materiale alla nuova sorgente espressiva del Melodramma. Poi, da Monteverdi, l’attenzione si spostò  verso gl’imprecisi drammi storici. In un immaginario terzo periodo si ricreò l’ambiente della Commedia dell’Arte nelle farse in musica. Quindi, finalmente, con Giuseppe Verdi, la società e la politica, seppur sempre in maniera velata, entreranno trionfalmente nel Melodramma.

La collana Melodramma e Filosofia Perenne è composta da studi monografici su specifiche opere liriche10 e presenta temi assai stimolanti. Seppur talvolta questi melodrammi mostrino una certa entropia rispetto alle loro fonti letterarie, talaltra – grazie ai loro potenti mezzi espressivi – ne esaltano l’efficacia.11

La parola si presenta come un atto irrevocabile all’interno della voce. Questa, quale forza divina indistruttibile, è celebrata in moltissimi miti, essendo il mondo stato creato coi suoni, che riconducono l’uomo alle proprie origini. Da tali riflessioni, mediati dall’opera di Mariu Schneider, possiamo cogliere l’importanza del melodramma. Ma anche individuarne i rischi annessi. Sono questi i binari su cui si muove il progetto editoriale Melodramma e Filosofia Perenne.

Le pubblicazioni già disponibili nel catalogo dell’editore Irfan sono:

In lavorazione i seguenti studi: Semiramide di Gioachino Rossini, Dido and Aeneas di Henry Purcell e Mefistofele di Arrigo Boito.

A cura di Alessandro Di Adamo

(1) Nel Convivio di Dante Alighieri si fa riferimento a quattro livelli di comprensione del testo: letterale, allegorico, morale e anagogico (ovvero il soprasenso). Peraltro fu proprio Dante a esprimere una delle più alte significazioni della musica nel canto secondo del Purgatorio, quando, riconosciuto Casella gli chiede di cantare. La musica consolerà la sua anima affannata e lo rapirà come avveniva peraltro in terra di fronte al canto di Casella. Questa invocazione di Dante esprime il potere universale del canto.

Ritroveremo anche nel Paradiso la bellezza della musica, ma non nell’Inferno dove non v’è ombra di canto consolatorio, tanto meno liberatorio. 

(2) Scientia Sacra I (Ed. all’Insegna del Veltro, 2000).

(3) Si tende spesso a ripetere che la vera musica è senza parole, e che, qualora ve ne siano, esse non sono essenziali. La musica pura starebbe solo nel disegno ritmico e melodico. Ma si tratta di pregiudizi, infatti laddove musica e parole sono nate insieme, il prescindere dalle parole rischia di snaturare quella creazione artistica. Peraltro, parlare in musica è un fatto che riguarda anche il linguaggio comune.

Ci sono lingue, o dialetti regionali, in cui la formazione melodica dei periodi è così nettamente modulata, che stenta a intendere le parole chi non impari a ritrovarle e a riconoscerle nel giro melodico delle frasi. Se il ritmo e i suoi rapporti d’intervalli, che esistono indubbiamente nel discorso parlato, vengono resi più definiti e più precisi, ecco che si passa dal discorso parlato al discorso musicale.

Quindi nel discorso parlato vi è già un discorso musicale. A maggior ragione, il discorso poetico (per esempio versi come quelli di Dante: «Era già l’ora che volge il desio…») è ancor più intensamente musicale.

Da qui dunque l’esigenza estetica di cogliere in questo prodotto verbale un fatto estetico, individuando un suo ritmo vitale unitario. Ma anche quella di apprezzarne l’aspetto musicale, fatto di organizzazioni sonore, costituito cioè non soltanto da parole come elementi semantici, ma di parole come elementi suggestivi e persuasivi. Legati da quello che si dice ritmo in senso specifico, e che si concretizza nella scelta della qualità dei suoni.

(4) Potete immaginare quindi le critiche che tale prospettiva mosse alla musica a programma dei poemi sinfonici, che proliferarono a cavallo tra i secoli XIX e XX.

(5) Georgiades amava Verdi, Bizet e Mussorgskij (come anche Stravinskij e Orff). Ma il suo atteggiamento nei confronti della musica colta occidentale del XIX e XX secolo si mantenne cauto e diffidente. Ciò in quanto, a rigor di logica, essa non si poteva più porre nella continuità tradizionale della storia della musica.

(6) “Musica e Poesia sono sempre state riconosciute per sorelle che, procedendo mano in mano, si sostengono a vicenda. Se la poesia è l’armonia delle parole, la musica è l’armonia delle note. E come la poesia si solleva sopra la prosa e l’arte oratoria, così la musica esalta la poesia. Ciascuna di esse può eccellere singolarmente. Congiunte esse sono eccellentissime, poiché soltanto allora non manca nulla alla loro rispettiva perfezione. E brillano come brillano spirito e bellezza in un’unica persona” (Henry Purcell, 1661).

(7) Giovanni Bardi, il quale nella seconda metà del secolo XVI ospitò nella propria casa musicisti e letterati umanisti, fu mecenate e anima della Camerata fiorentina dei Bardi. Questa intendeva riportare l’arte musicale imbarbarita dalle stranezze fiamminghe alla sublimità della greca melopea. La celebre Camerata aprì la via al recitativo cantato e alla melodia.

Quindi, con la riforma del melodramma, segnò l’inizio di quest’arte musicale moderna.

Il primo melodramma nacque infatti nell’ambito della Camerata dei Bardi. Fu la Dafne di Peri, su libretto di Rinuccini (la fonte, Le Metamorfosi di Ovidio, mostra un argomento mitologico dalle sfumature cosmologiche misteriose che riconduce alle precedenti considerazioni di Bela Hamvas).

(8) Giulio Caccini scrisse, nella Prefazione a Le nuove musiche, di volersi attenere:

“à quella maniera cotanto lodata da Platone, et altri Filosofi, che affermarono la musica altro non essere, che la favella. E ‘l rithmo, et il suono per ultimo, e non per lo contrario, à volere, che ella possa penetrare nell’altrui intelletto, e fare quei mirabili effetti, che ammirano gli Scrittori. E che non potevano farsi per il contrappunto nelle moderne musiche, e particolarmente cantando un solo sopra qualunque strumento di corde. Che non se ne intendeva parola per la moltitudine de i passaggi, tanto nelle sillabe brevi quanto lunghe.”

(9) L’italiano dell’opera lirica è una lingua difficile (soprattutto nelle sue forme ottocentesche). Eppure la musica l’ha reso assai popolare in tutto il mondo. Il melodramma è stato dunque un potente veicolo di diffusione per la nostra lingua. I cartelloni dei programmi dei teatri lirici di tutto il mondo continuano di fatto a promuoverla.

(10) Nella scelta delle opere avranno spazio anche quei compositori del XX secolo meno noti per le loro opere liriche. Questi, come afferma Viret, si sono riavvicinati alla dimensione tradizionale e spirituale della musica (recupero della modalità in Debussy, Satie, Respighi, Vaughan Williams), attraverso libretti di qualità. Un operista di successo come Puccini sembra, di contro, con le sue dichiarazioni (“il teatro ha bisogno di tre cose: commuovere, sorprendere, interessare”), aver di fatto squalificato la sua produzione melodrammatica alle dimensioni più interiori.

(11) “Dobbiamo demistificare i mondi apparentemente profani e i linguaggi della letteratura, delle arti plastiche e del cinema per rivelare i loro elementi ‘sacri’. Sebbene si tratti, naturalmente, di una ‘sacralità’ ignorata, camuffata o degradata.”
(Mircea Eliade, La nostalgia delle origini, Morcelliana 2000).

21 Agosto 2020

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