Tosca primo atto

La prima di Tosca, la nuova opera di Giacomo Puccini, tratta dall’omonimo dramma di Victorien Sardou, sarebbe andata in scena il 14 gennaio del 1900 presso il Teatro Costanzi di Roma.

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Giacomo Puccini autore di ToscaQualche giorno prima dell’attesissimo debutto, il Maestro rilasciò un’intervista al cronista delle Cronache musicali.

– Maestro, abbia pazienza; mi dica qualche cosa della sua vita, ma qualche cosa di nuovo, che altri non abbia mai saputo e che sapranno per i primi i lettori delle Cronache musicali. (Ed egli, sempre buono e gentile, incominciò):

– Io nacqui a Lucca nel 1859
– (Oh! Questo è noto!…)

– La mia famiglia si componeva di sette figli. Sette birichini che, degni figli e nipoti di musicisti, fischiavamo e cantavamo tutto il giorno, con molta disperazione di papà, di mamma e dei vicini. Ma povero papà morì ben presto e a casa nostra piombò il lutto e la tristezza più desolante. Da mio padre ebbi i primi insegnamenti musicali, studiai in seguito con il carissimo Angeloni, a Lucca nell’istituto Pacini, e in seguito con il Ponchielli, a Milano, che mi amava come un padre e ch’io adoravo.
Fui uno “Schaunard” più vero e maggiore e non vidi una carta da cento lire prima della rappresentazione delle fortunose “Villi” al Dal Verme la sera del 1° febbraio 1884. Abitavo un quarto piano con mio fratello e mio cugino, (vivevo con un sussidio di S.M. la Regina e della Congregazione di Carità romana) ed avevo anch’io una buona e bella Eufemia!… Poi la fortuna mi arrise ed ora…eccomi qua di nuovo alla prova del fuoco!

– Tutto ciò, maestro, è noto…Vorrei qualche particolare più interessante…

Ebbene, le dirò qualche cosa delle mie abitudini. Io mi alzo la mattina, a Torre del Lago, molto per tempo, e vado a caccia, poi torno, mangio, dormo, e la sera e la notte lavoro. Ci sono, di notte, e d’estate, le zanzare laggiù, ma io mi difendo con le zanzariere…

– Maestro, Carlo Paladini (vedi nota 1) ha scritto questo ed altro; ha scritto che non c’è nota della “Tosca” buttata giù senza il sussidio del lume; e che in quel dormiveglia, il quale spinge spiritualmente a una specie di lavoro ipnotico, liberandovi in parte dall’impaccio dei sensi, la fantasia diventa alata e l’anima più sottile, penetra nell’intimo delle cose; e che il neuropatologo tedesco farà queste considerazioni descrivendo le Vis superbae formae; e che il pittore Ferruccio Pagni, tenebroso come un idolo cartaginese, è stato nell’agosto occupatissimo a tener lontane le trionfanti zanzare, grasse e tonde quali putti delle cantorie del Della Robbia…(Mentr’io ricordavo, il maestro rideva, rideva…)

– Ma il tema è dunque più che esaurito! Le parlerò allora delle mia cacciate e dei pivieri e delle folaghe…

– Ma ella non sa che Eugenio Checchi le ha immortalate le sue folaghe? Ha scritto e descritto come le uccide, come le cucina, come le mangia, come…
– Ah si?… – fece il maestro, quasi scoraggiato -. E…allora?
– Allora? Ma un maestro celebre come lei avrà mille aneddoti da raccontarmi…
– Aneddoti? Nessuno! Io mi alzo la mattina vado a caccia, zirlo (vedi nota 2) ai gambetti, zampogno alle folaghe, chiamo i pivieri, tiro… uccido, torno a casa, mangio, dormo, poi suono e scrivo e mi riaddormo…
– Ma…qualche avventura di caccia. E andato mai a cacce difficili, pericolose?
– Mai, mai. Eppure ho sempre sperato di potervi andare, ho sempre sognato tigri, pantere, orsi, lupi. Ah! Ricordo ancora che una notte ebbi uno spavento terribile, perché sognai d’essere andato a caccia nella Selva Nera. Nel mezzo del cammino perdetti la strada e, giri di qua, giri di là, si fece notte; allora sbucarono d’ogni parte mandrie di lupi affamati e…
– E li uccise tutti?
– No… mi fecero a brani.
– Peccato che sia un sogno! (diss’io macchinalmente)
– No, meglio ch’io sia vivo… (riprese, sorridendo, il maestro)
(In questo mentre venne Mugnone; egli mormorava ancora qualche imprecazione contro quei disgraziati che lo fanno arrabbiare alle prove)
– Ebbene?
– Tutto va…bene. (Rispose, e ci voltò le spalle).
– Ma perché – dissi a Puccini – ella non dirige mai un’opera sua? Ho letto che una volta si è provato, e che a metà ha lasciato la bacchetta.
– Fole! Fole! Non ho mai diretto né mai dirigerò. E non perché mi faccia paura lo scranno del direttore; anzi le dirò che quando, a Milano, feci eseguire sotto la mia direzione, il “Capriccio sinfonico”, che composi come saggio finale dei miei studi, il povero Filippi, critico della “Perseveranza”, congratulandosi meco vivamente per il lavoro musicale, mi disse solennemente: “Tu diverrai un gran direttore d’orchestra!” E fu…profeta! Difatti, d’allora non diressi mai più! Certo durante qualche prova dei miei lavori, in Germania e anche in Italia, più volte ho dovuto mostrare, dirigendo, a qualche maestro, come intendevo fosse interpretata la mia musica; ma piuttosto che dirigere davanti al pubblico ho sempre preferito far dirigere la mia roba anche a maestri…birboni! E ora che c’è Mugnone, qui, io sarei ben lieto di non assistere neanche fra le quinte alla prima rappresentazione della “Tosca”; e di ricevere un telegramma sull’esito nella mia casetta di Torre del Lago, e intanto uccidere folaghe e mangiare e dormire saporitamente, come sempre…

La sera della prima di Tosca

L’avvenimento atteso al Teatro Costanzi colla prima rappresentazione dell’opera Tosca di Giacomo Puccini, aveva prodotto la febbre. Fino da quando incominciarono ad unirsi, alle prove, i cantanti coll’orchestra, era un chiedere notizie, impressioni, giudizi. E da quei pochi che erano un poco addentro alle segrete cose, e dai parenti ed amici di chi era addentro, si spargevano i più lieti vaticini. E già, alla mente di tutti, innanzi la prima rappresentazione, stavano presenti le scene più forti di Tosca e nei privati e pubblici ritrovi, correvano i brividi per la scena della tortura, si dividevano le emozioni dolci e terribili della protagonista, si presentiva l’effetto delle campane nella pittura del risveglio di Roma. Venuto poi fuori lo spartito, in quei due giorni che ancora precedevano l’avvenimento, allora si che si serravano i dialoghi: quanti pianisti, quanti dotti armonisti, pullulavano per Roma e come piovevano le citazioni di questo e di quel passo, e colle citazioni i commenti, le sentenze!
Sempre gli stessi errori; le opere destinate al teatro non si giudicavano a pianoforte e neppure alle prove… domandatene a chi c’è stato!

Domenica 14 gennaio 1900…

Fatto è che giunto il memorabile giorno, anzi, la memorabile serata, quella della domenica 14 gennaio, il Teatro Costanzi fu preso letteralmente d’assalto ed alla forza del pubblico che s’assiepava ed invadeva, bisognò opporre la forza armata degli angeli custodi i quali, un po’ colle buone un po’ con altri mezzi, misero una specie di calma nelle file turbolenti.

Leopoldo Mugnone
Leopoldo Mugnone

Così il generalissimo che brandiva la bacchetta come una spada di vittoria, il maestro Mugnone, poté dare il segnale agognato della prima battuta.
Il lettore avrà presente il libretto riassunto con ampiezza nel numero precedente; l’azione comincia subito. Appare il prigioniero Angelotti, poi il sagrestano della chiesa indi il pittore Cavaradossi. Al breve dialogo fra questi e il fuggitivo di Castel Sant’Angelo, succede la melodia di Cavaradossi: Recondita armonia non certo priva di eleganza né di sentimento. L’ingresso di Tosca è accompagnato da un andantino sostenuto pieno di calma dolcissima che dispone favorevolmente l’animo al duetto fra la protagonista e il suo amato pittore. Qui abbiamo un motivo graziosissimo nell’allegretto moderato, sulle parole: non la sospiri la nostra casetta che guadagnerebbe, probabilmente, se non ne fosse tanto affrettato il movimento.

La prima rappresentazione di Tosca

Tosca di Giacomo Puccini primo atto
Tosca di Giacomo Puccini primo atto

Si è tanto parlato delle quinte della Boheme le quali invero potevano sembrare caratteristiche al principio del secondo atto, né furono, allora, oggetto d’orrore pel sottoscritto. Però, se è lecito essere pedante una volta tanto, additerò due quinte proprio brutte e che non ha ragione di essere: forse il Puccini quando gli vengono nella penna, le lascia per dispetto. Le due quinte incriminate sono sotto la frase di Tosca: le voci delle cose e bisogna dirlo, non suonavano bene.

Verso la fine del duetto si nota un’altra melodia assai dolce: Quale occhio al mondo può star di paro, quindi si svolge la frase impersonante l’amore di Tosca e Mario, la quale se non è nuovissima riesce però assai gradita all’orecchio.

Possiamo di qui saltare al finale Te Deum il cui effetto rialzò le sorti della musica che s’andava affievolendo. Per quanto l’impressione che ha sollevato questa chiusa sia dovuta al canto liturgico riprodotto fedelmente, non devesi lesinare la lode al maestro per il partito che ne ha tratto, poiché è da riconoscere ad un’operista il merito di un effetto teatrale conseguito con semplici mezzi; tali espedienti si chiamano convenzionalmente trovate e per tali si hanno da registrare e da plaudire.

L’atto secondo, come quello che impernia il massimo interesse di tutta quanta l’azione e che contiene i più forti quadri del dramma, dié luogo alle osservazioni ed alle critiche più acute. Si trovò in generale che troppo rapidi si svolgono gli avvenimenti, che troppo ravvicinati sono i casi dolorosi dei due amanti, e sarebbe difficile sostenere il contrario. Vede un poco: l’interrogatorio di Cavaradossi e la sua tortura quasi in presenza di Tosca; lo spettacolo repugnante delle perfide arti adoperate dallo Scarpia per possedere la celebre cantatrice; l’uccisione di Scarpia per parte di costei. Non vi sembra troppa roba insieme?

Ne nasce che nella musica deve dominare quasi esclusivamente un solo colorito: quello che dipinge l’orrore; di qui grida, imprecazioni e gesti che a chi guardasse senza udire, parrebbero di forsennati!
In quest’atto, dunque, i momenti di calma somigliano a lampi solcanti ruggito d’uragano. E fra questi lampi, sprazzi di luce desiderata, abbiamo la commovente melodia di Tosca: Vissi d’arte. Fra le esplosioni, una delle più belle quella di Cavaradossi imprecante al governo reazionario:

L’alba vindice appar
Che fa gli empi tremar.

È questo un tratto veramente ed altamente drammatico reso con potenza di forte ingegno musicale. Il tenore De Marchi specie alla seconda replica dell’opera fu all’altezza della situazione, è proprio il caso di dirlo.

Il duetto di Tosca con Scarpia

Altro episodio degno di rilievo, e questa volta nell’orchestra, è un disegno insistente ed affannato che si sviluppa durante il duetto di Tosca con Scarpia, presentato dapprima con notazione in figure larghe e poi sempre più strette.

Il punto più debole dell’atto è forse la fine. Era già assai azzardata nella scena di prosa, secondo che la volle il Sardou; poiché, in vero, una donna come Tosca mite e pia, se è trascinata a risolvere una posizione insostenibile con un colpo di coltello vibrato in pieno petto ad un uomo, difficilmente troverà il sangue freddo d’acconciarsi la sconvolta capigliatura allo specchio, di porre un crocifisso sul petto del cadavere, e due candelabri ai lati.

Pure, una grande attrice poté profittare dello stato d’animo degli spettatori per imporre una tale inverosimiglianza; il compito era più arduo, sulla scena lirica. Quantunque nella signora Darclée si avesse una Tosca potentissima, tuttavia, ed ecco la funzione della musica sinfonica al teatro la quale comincia, come dice il Taine, là dove la parola finisce, questo era il punto in cui occorreva il commento passionale dell’orchestra. Essa si limita, invece, all’accenno di un canto funebre interessante e bene svolto, ma breve; e tale che sembra pauroso di turbare l’azione del personaggio.

Poi dunque manca la trovata, ed il Puccini, se conviene dell’errore… la troverà.

Tosca terzo atto
Tosca terzo atto

Il preludio dell’atto terzo comincia con bruschi accenti degli ottoni che riproducono una frase dei due amanti presso all’estremo momento della fucilazione; quindi abbiamo un seguito d’armonie che ricordano assai la Boheme (niente di male) e poi lo stornello romanesco.
Questo stornello del capraio, è pieno di carattere e di sentimento; gli nocque non poco l’esecuzione deficentissima. L’effetto di campane che segue, avrebbe risposto meglio alle speranze del maestro se un po’ meno durasse lo scampanio e se di sotto, l’orchestra, avesse qualche cosa di significante.
Affrettiamoci dunque a raggiungere il povero Mario Cavaradossi assalito dalle rimembranze del suo tenero amore. I violoncelli divisi a quattro e toccanti le regioni più acute (l’esecuzione ne è tutt’altro che facile, massime pel primo), ricordano la frase amorosa del primo atto nella chiesa di Sant’Andrea della valle; poi la voce si unisce all’orchestra con slancio efficacissimo sulle parole O dolci baci o languide carezze.

Nel duetto fra lo stesso Cavaradossi e Tosca vi han pure carezzevoli melodie. Va citata per prima quella di Cavaradossi, O dolci mani mansuete e pure. Nella risposta di Tosca non sembra bene appropriato il ritorno del motivo funebre del suo duetto con Scarpia. In quel momento la fantasia di Tosca non le suggerisce altro che la letizia della fuga: la fucilazione è un mezzo per mascherarla. Ma su tali dettagli di cui è gelosissima la formula il vaghissimo sospiro di Cavaradossi: Amaro sol per te m’era il morire che tanto piacque in ogni rappresentazione.

Al giungere del capo dei birri, Spoletta, spunta nell’orchestra un motivo elegante e piuttosto gioviale, tutto massenettiano, che davvero non si direbbe fatto per quella terribile situazione. L’incalzare della catastrofe ha dominato per intero il maestro il quale poco si è curato probabilmente per quello che ne restava, di scegliere le idee.
Questa rassegna della Tosca è scritta dopo la seconda rappresentazione e forse alcune affermazioni, alcuni giudizi, potranno risultare errati. Malgrado questo pericolo, bisogna venire intanto ad una chiara conclusione.

Giacomo Puccini e la sua esperienza teatrale

Il Puccini che in quest’opera ha recato una somma maggiore di esperienza teatrale, che ha raffinato il suo stile, si è trovato di fronte ad una situazione arrischiatissima per qualche parte anche di dubbia verosimiglianza, come vedemmo, ed è quella che chiude il secondo atto. Il punto deficiente musicalmente è questo; altro punto debole è il preludio del terzo atto che dovrebbe contenere più musica e meno scampanio. Qua e là altre mende si potranno pure riscontrare; ma i pregi sopravanzano di gran lunga i duetti: l’opera è vitale ed accetta maggiormente riuscirà se il Puccini vorrà fare tesoro degli ammaestramenti fornitigli dalla prova della ribalta, per qualche ritocco opportuno.

Il pubblico alla prima di Tosca

La cronaca registra un bellissimo successo d’esecuzione per parte della signora Darclée protagonista e del signor De Marchi – Cavaradossi in prima linea, i quali ebbero l’onore di parecchi pezzi ripetuti. Poi per il signor Giraldoni – Scarpia dotato di potenti mezzi vocali quanto bene educati, il quale dovrà meglio studiare la scena della morte, per non prestarsi a critiche interamente sfavorevoli.
Della concertazione dell’opera, e della inappuntabile direzione non accade fare elogi speciali. Il nome del Mugnone è da sé un elogio. I cori furono bene istruiti dal maestro Foà. Gli scenari, i costumi veramente ricchi.

I giudizi sulla prima di Tosca di Giacomo Puccini

– Dunque, che ne dici? – È un bel lavoro.
– Oh! Una delusione!
– C’è della gran bella roba.
– Puccini ha fatto un gran passo innanzi.
– Puccini ha sbagliato strada.
– Preferisco la Boheme.
– Preferisco la Manon.
– La Tosca seppellirà le opere precedenti di Puccini.
– È musica veramente italiana.
– Ci si sente Massenet.
– Ci si sente Meyerbeer. Anche Berlioz.
– Ma che! Puccini è sempre e solo Puccini.
– È musica forte.
– È musica delicata.
– Il dramma è commovente.
– Mi fa ribrezzo.
– Il secondo atto è il più vigoroso.
– Il secondo atto è il più fiacco.
– La musica colorisce l’azione.
– Il dramma vince la musica.
– Ci sono troppe canzonette.
– C’è troppa declamazione.
– Il finale primo è imponente.
– Preferisco il preludio all’alba.
– La pagina migliore è la romanza di Tosca.
– La più dolce è l’aria di Cavaradossi.
– Quei candelieri sono una trovata.
– Se non leva i candelieri il secondo atto non sarà mai applaudito.
– Ci sono delle prolissità. Il dramma è troppo serrato.
– Il libretto è orribile.
– È il miglior libretto che si sia mai scritto.
– I versi sono sdolcinati.
– I versi sono bellissimi.
– Hai letto nella Tribuna l’articolo di Rastignac? Dice che l’opera è uno sproposito. Pardon, questa volta… non l’ha indovinata lui!
– L’accoglienza è stata freddina.
– I pubblico ne è entusiasta.
– La strumentazione è pesante.
– La strumentazione è fiacca.
– La strumentazione è massenettiana, elegantissima.
– L’opera non vivrà.
– L’opera sarà sempre più apprezzata e applaudita.
– Evviva Puccini!
– Evviva Mascagni!
– (un vecchio, con forza) Evviva Verdi!


NOTE
(1) Carlo Paladini (1861 – 1922), critico d’arte, stava scrivendo una biografia sul Maestro, che sarebbe stata pubblicata nel 1903.
(2) il caratteristico verso del tordo.


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A cura di Alessandro Di Adamo

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24 Agosto 2023
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