Giacomo Puccini davanti al pianoforte

Tra il 1880 ed il 1890, le lotte per il melodramma wagneriano in Italia raggiungevano il loro culmine.

Franco Faccio
Franco Faccio

Da una parte Franco Faccio, Arturo Toscanini e Giuseppe Martucci imponevano ai pubblici d’Italia il nuovo verbo del “nibelungo”; l’Italia del Melodramma rispondeva colla triade Puccini, Franchetti e Mascagni; quest’ultimo considerato da molti eredi del Verdi per le forti tinte, per l’efficace e conciso senso drammatico, che imponeva ai suoi lavori.

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Pietro Mascagni
Pietro Mascagni

Ma le delusioni presto non mancarono; l’Iris, andato in scena nel 1898 presso il Teatro Costanzi di Roma, ben presto, divise in due campi distinti i mascagnani: alcuni videro nel simbolismo letterario dell’opera un fenomeno d’inevitabile impoverimento; gli altri che continuavano a deplorare la povertà dei mezzi tecnici, impiegati nelle precedenti opere, trovarono un nuovo orientamento capace di volgere ad una nuova impresa, mentre davvero in pochi s’accorsero dell’inorganicità della costruzione. La direzione orchestrale, verso cui il compositore si dedicava con frequenza sempre maggiore, scopriva rapidamente delle lacune di cultura, dimostrata nell’assenza dalla concertazione per i grandi capolavori sinfonici. Isabeau (1911) ridusse il gruppo degli appassionati ad un numero sempre più esiguo d’idolatri.

Alberto Franchetti

Alberto Franchetti con Asräel (1888) ed il Cristoforo Colombo (1892) manifestava la scarsa vitalità delle sue creature.
Solo La Bohème (1896) continuava a mietere successi ovunque, e quando fu la volta di Madama Butterfly (1904), il pubblico vide in Cio Cio San la sorella carnale di Mimì, poiché soffriva e cantava come la parigina, e l’amò dello stesso amore.

Giacomo Puccini | Madama Butterfly
Madama Butterfly

Puccini fu accusato di sfruttare le sue qualità commerciali, piuttosto che dedicarsi a coltivare le sue doti inventive, ma nessuno poté impedire le moltitudini ed entusiastiche ammirazioni, con cui il pubblico amò le sue eroine. Il musicista si mostrò sempre più agguerrito di mezzi tecnici, soprattutto in Butterfly, verso cui anche i giovani, che apprezzavano il movimento impressionista francese, non poterono non accorgersi dell’arricchimento armonico – strumentale, di cui era intessuta l’opera, e provare una sincera attrazione e compiacimento. Puccini sembrava così votato al mantenimento del gradimento del pubblico e, nel contempo, a convincere l’intellighenzia dell’acume intellettuale, che stava alla base delle sue scelte.

Viva e franca era la stima per Debussy, il cui Pelléas et Mélisande aveva udito a Parigi; egli era sempre in continuo aggiornamento sui lavori dei colleghi esteri. I suoi detrattori giudicarono quest’atteggiamento atto ad impossessarsi di nozioni tecniche ed ispirative per i lavori successivi, mentre era il mezzo necessario, per un rinnovamento delle proprie forme, progredendo ed ampliando l’emozione nell’espressione. Puccini non si chiuse nell’hortus conclusus del suo successo, non si rapprese nell’immobilità disastrosa dell’uomo soddisfatto di sé. Pur obbedendo al suo temperamento, si dischiuse all’ascolto attento delle sue voci interiori, grazie alle quali si dimostrò un abilissimo creatore di atmosfere risonanti, come nella Bohème, dove poeta e musicista realizzarono l’Unità; il principio del Terzo atto della Manon Lescaut, dove l’angosciosa attesa di Des Grieux, nel grigio mattino dell’Havre, diventa la nostra tristezza; il sorgere dell’alba romana in Tosca, ed il calar del sole ne mar del Giappone, mentre Butterfly, mosca prigioniera, attende con ansia la sua sorte; la Firenze di Gianni Schicchi col Ponte Vecchio sullo sfondo.

L’artista sentì l’ambiente del suo dramma come elemento essenziale e spesso origine dell’azione stessa, che permetteva al pubblico di riconoscere con facilità e sicurezza in ogni melodramma di Puccini una fisionomia distinta e caratteristica. Egli ebbe capacità di calibrare la sceneggiatura, perché non annoiasse l’ascoltatore – pericolo sempre evitato dal Verdi -, permeando il melodramma di quello spirito di leggerezza, che Nietzsche deplorava mai si trovasse nell’opera tedesca.

Si dimostrò un abile manipolatore della parola in musica, la quale allarga, distrugge talvolta i limiti della sua definizione, rivelandosi come un corpo, che cadendo nell’acqua ferma, crea un ordine di forme concentriche in collegamento con l’interiorità di chi ascolta. Il personaggio agisce in, nella e sulla platea. La musica, allora, non esprime più il dolore in genere, ma il dolore universale.

Egli dimostrò di possedere la capacità di rinunciare alla musica nei momenti di esasperata e culminante drammaticità, di ridurre la materiale espressione sonora quasi al niente, non per un improvviso quanto ingiustificato istinto pauperista, ma come un giusto senso d’intuizione davanti a situazione, che nel profondo senso non sono musicali. Eppure le esigenze del dramma nel melodramma dovrebbero essere sempre musicali. L’assenza di musica, in certi momenti delle opere di Puccini, non è espediente, per coprire un’assenza di emozione, né vorrebbe rimediare ad un’ingenita impotenza, ma affiorerebbe come una semicosciente difesa della sua stessa musicalità più vera e profonda.

Giacomo Puccini fu ingiustamente accusato di vivere l’emozione superficialmente, sostituendo il sentimentalismo col sentimento, finendo coll’intaccare così la sostanza stessa della sua creazione. In verità, le pagine delle sue opere contengono indiscutibile emozione d’arte, per cui potremmo rimproverare Puccini di non aver voluto attingere forse ad una più attenta e profonda ricerca del suo vero se stesso, creando così miracoli d’arte assai superiori e opere più grandi eticamente.

Puccini fu attaccato in vita soprattutto dalla critica straniera, la quale vide un temibile concorrente di un altro paese, che trionfava ovunque fossero rappresentate le sue opere. Se fosse nato a Francoforte o a Monaco, sarebbe esistita una lunga bibliografia delle opere di studio sull’intera produzione. A ciò si aggiunse anche parte della critica italiana, che fomentò parte degli addetti ai lavori contro il puccinismo, ma non contro gli altri ismi (wagnerismo, straussismo, debussismo…). Questa inutile e sbagliata guerra (come tutte le guerre) non significò misconoscere il valore dell’opus pucciniana, ma solo in un momento successivo la critica riconobbe interamente il valore assoluto del suo teatro, che sa parlare oltre il tempo.


Collegamenti utili su Giacomo Puccini

Biografia di Franco Faccio
Biografia di Alberto Franchetti
Biografia di Giuseppe Martucci
Biografia di Pietro Mascagni
Biografia di Giacomo Puccini
Biografia di Arturo Toscanini


Ascolti consigliati

«Pelleas et Melisande» di Claude Debussy
«Cristoforo Colombo» di Alberto Franchetti
«Iris» di Pietro Mascagni
«Isabeau» di Pietro Mascagni
«La boheme» di Giacomo Puccini
«Madama Butterfly» di Giacomo Puccini


A cura di Alessandro Di Adamo

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12 Aprile 2023
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